venerdì 9 gennaio 2015

Il TAR del Lazio conferma lo scioglimento del consiglio comunale di Sedriano

Lo avevamo pronosticato esattamente un anno fa, il 9 gennaio 2014 : "… Valutando quindi i dati nazionali, così a naso, il ricorso di Celeste rischia di essere … una scoreggia nello spazio".  E cosi è stato.

Infatti ieri il TAR del Lazio ha pubblicato la sentenza in merito al ricorso richiesto da alcuni ex consiglieri della giunta Celeste :  (…)Passando all’esame del merito dell’impugnativa, il Collegio rileva che il gravame non può trovare accoglimento. (…)Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta. (…)

Che dire ? I soliti “incauti trombettieri” avevano provato a paragonare il caso di Sedriano a quelli di Bordighera o Bagaladi, dove il TAR aveva annullato il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale. 
Ma come da noi più volte evidenziato -entrando come al solito nel merito - quei casi erano lontani anni luce da quello di Sedriano.

Dalla sentenza che riportiamo di seguito, si riscontrano degli elementi sconcertanti. Vi consigliamo un’attenta lettura del documento (anche se molto lungo) per capire voi stessi i veri perché dello scioglimento del comune di Sedriano per Infiltrazioni mafiose :





REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 12922 del 2013, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
Silvia Stella Fagnani, Massimiliana Marazzini, Adelio Achille Pivetta, Gennaro Rusciano, Silvia Rita Camilla Scolastico, tutti rappresentati e difesi dagli avv.ti Giovanni Bormioli, Mariano Protto e Giovanni Corbyons, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Via XXXXXX; 
contro
- Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell'Interno, U.T.G. - Prefettura di Milano, rappresentati e difesi per legge dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia in Roma, Via XXXXXX;
- Comune di Sedriano;
- Presidente della Repubblica; 
per l'annullamento, previa sospensione,
- del decreto del Presidente della Repubblica 21 ottobre 2013, pubblicato in G.U. n. 256, serie generale del 31 ottobre 2013, avente ad oggetto scioglimento ex art. 143 del d.lgs. 267/2000 del Consiglio Comunale di Sedriano e nomina di una commissione straordinaria di gestione,
nonchè di ogni atto preparatorio e presupposto, conseguente e connesso e, segnatamente:
- della proposta (non comunicata ai ricorrenti) del Ministro dell'Interno e dell'allegata relazione 11 ottobre 2013;
- della deliberazione (non comunicata ai ricorrenti) del Consiglio dei Ministri 15 ottobre 2013;
- della relazione prefettizia (parzialmente comunicata ai ricorrenti) 24 luglio 2013;
- di ogni altro atto richiamato dagli atti suindicati.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell'Interno e dell’U.T.G. - Prefettura di Milano, con la relativa documentazione;
Vista l’ordinanza collegiale istruttoria di questa Sezione n. 580 del 16.1.2014;
Vista l’ordinanza istruttoria del Consigliere delegato n. 6369/2014 del 1.4.2014;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del 5 novembre 2014 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO
Con ricorso a questo Tribunale, notificato il 18 dicembre 2013 e depositato il successivo 20 dicembre, i ricorrenti in epigrafe chiedevano l’annullamento, previa sospensione, del decreto del Presidente della Repubblica con cui era stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Sedriano, di cui erano tutti consiglieri.
I ricorrenti, in sintesi, lamentavano quanto segue.
1) Violazione dell’art. 7 l. n. 241/1990”.
I ricorrenti non erano stati avvisati dell’avvio del procedimento né l’omissione risultava giustificata da ragioni di urgenza in relazione alla durata della procedura.
2) Violazione dell’art. 143.4 D.lgs. n. 267/2000”.
Il procedimento in esame prevede come presupposto essenziale la proposta del Ministro dell’Interno al Presidente della Repubblica, proposta che, a sua volta, deve trovare il suo presupposto nella delibera del Consiglio dei Ministri. Nel caso di specie la proposta ministeriale era invece anteriore alla delibera del Consiglio dei Ministri.
3) Violazione dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000 e dell’art. 3.3. l. n. 241/1990. Difetto del presupposto legittimante. Difetto di istruttoria di motivazione. Eccesso di potere per travisamento dei fatti
3.1) Presupposti per l’esercizio del potere di scioglimento”.
I ricorrenti evidenziavano la significativa evoluzione, in senso garantistico, del contenuto dell’art. 143 TUEL, a partire dal testo originario, passando per l’art. 15 bis l n. 55/1990 introdotto dal d.l. n. 164/1991 e fino all’art. 2.30 l. n. 94/2009.
I presupposti per pervenire allo scioglimento dovevano ora fondarsi su “elementi concreti, univoci e rilevanti” sì da dare luogo ad anomalie che devono essere indicate in modo analitico nella proposta ministeriale di scioglimento. Le associazioni a delinquere cui si riferisce il collegamento/condizionamento deve essere solo di tipo “mafioso o similare” ai sensi dell’art. 416 bis, comma 3, c.p.. Il riscontrato condizionamento deve esplicarsi nell’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi, distinguendo questi ultimi dagli organi della struttura amministrativa comunale, verso i quali può contenersi l’intervento repressivo.
Tra i collegamenti/condizionamenti e gli effetti perturbatori sull’ordine legale e sulla sicurezza pubblica deve poi dimostrarsi un nesso di causalità di stringente consequenzialità, che non può limitarsi a singoli episodi di illegittimità degli atti amministrativi ma deve attestare una compromissione irreversibile della vita istituzionale dell’ente, una costante violazione delle regole e dei principi dell’ordinamento nonché una situazione di precaria funzionalità dell’ente stesso, senza che possa avere rilievo in sé il mero rapporto di parentela e il sostegno politico-elettorale di organizzazioni mafiose delle quali sia dimostrata l’esistenza.
3.2) Le dedotte illegittimità” .
In relazione alla specifica situazione del Comune di Sedriano, i ricorrenti rilevavano che la relazione prefettizia allegata a quella ministeriale era incompleta e secretata nonché priva di allegati, con conseguente violazione dell’art. 3 l. n. 241/90 e dell’art. 143.9 perché non risultava che il Consiglio dei Ministri aveva disposto di mantenere la riservatezza in questione.
I ricorrenti, inoltre, contestavano integralmente le circostanze esposte nelle relazioni in questione, che risultavano prive di riferimenti contestuali (tempo, luogo, soggetto, oggetto, modalità di svolgimento, specifici effetti). I fatti erano esposti in maniera generica, non circostanziata e apodittica, per cui non si potevano evincere gli elementi concreti, univoci e rilevanti necessari secondo quanto sopra precisato, e lo scioglimento risultava fondato su valutazioni giuridiche dei fatti e non sui fatti stessi.
Indimostrato era anche il grave pregiudizio per l’ordine e la sicurezza pubblica, per cui ne derivava difetto di istruttoria e travisamento dei fatti.
4) Violazione sotto altro profilo dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000. Difetto del presupposto legittimante e in particolare della rilevanza delle circostanze addotte. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti”.
A fondamento dello scioglimento risultava posto un procedimento penale avviato presso il Tribunale di Milano che aveva coinvolto il Sindaco, le cui indagini avrebbero messo in evidenza collegamenti, anche parentali, frequentazioni, intese, accordi elettorali, condizionamenti diretti e indiretti riferibili ad esponenti di un’organizzazione criminale ma a fronte di ciò risultavano indicate solo illegittimità amministrative, ingerenze degli organi politici sull’operato degli uffici, violazione delle procedure di evidenza pubblica e di selezione del personale dirigente e delle norme sulla riscossione dei crediti, senza alcuna individuazione però del rapporto di stringente consequenzialità e congruità causale e finalistica tra le ritenute “infiltrazioni” e l’azione amministrativa, tale da compromettere la vita istituzionale dell’ente. Non risultavano provati l’ingerenza degli organi politici su quelli burocratici, trattamenti di favore verso (non precisate) imprese negli appalti, avendo l’amministrazione rispettato le norme sulla procedura negoziata ex artt. 112-125 D.lgs. n. 163/06. Il conferimento di incarichi dirigenziali era stato effettuato dalla precedente amministrazione e i contratti a termini di natura fiduciaria, ex art. 110 TUEL, non richiedevano procedure selettive. Gli affidamenti di lavori erano stati effettuati a favore di imprese dotate di certificazione “antimafia” e il mancato pagamento di tributi comunali da parte di un’impresa era imputabile alla precedente amministrazione, fermo restando che quella disciolta si era invece attivata, dopo molti anni, per il recupero concedendo le opportune dilazioni.
5. Violazione dell’art. 143.5 D.lgs. n. 267/2000”.
Le eventuali illegittimità amministrative erano di esclusiva responsabilità degli Uffici amministrativi del Comune e il Ministero dell’Interno doveva prendere in considerazione i provvedimenti di cui all’art. 143.5 TUEL e non lo scioglimento degli organi elettivi.
Si costituiva in giudizio l’Amministrazione in epigrafe, chiedendo la reiezione del ricorso.
All’esito della camera di consiglio del 15 gennaio 2014, questa Sezione, con la prima ordinanza in epigrafe, riteneva che le questioni prospettate dalla parte ricorrente fossero da esaminare nella più approfondita sede di trattazione del merito e conseguentemente fissava l'udienza pubblica di discussione, ordinando all’Amministrazione di depositare in giudizio copia degli atti impugnati non noti ai ricorrenti.
Con istanza istruttoria del 17 marzo 2014, i ricorrenti reiteravano la richiesta istruttoria, anche alla luce di nota dell’Amministrazione del 20 febbraio 2014 con cui si sollevavano questioni relative alle modalità di adeguamento dell’ordine di cui alla richiamata ordinanza collegiale.
Su delega presidenziale, quindi, il Consigliere delegato provvedeva con la seconda ordinanza in epigrafe, reiterando l’ordine istruttorio e disponendo per le cautele di cui all’art. 42, comma 8, l. n. 124/2007, fermo restando l’art. 262 c.p.
L’Amministrazione provvedeva in tal senso e parte ricorrente proponeva rituali “motivi aggiunti” avverso i medesimi provvedimenti già impugnati con il ricorso introduttivo.
Sostenendo che era stato comunque possibile soltanto un esame incompleto e sommario dell’ingente mole di atti, depositata senza un indice e per i quali non era stato possibile estrarre copia, i ricorrenti, lamentando genericamente la sostanziale violazione del diritto di difesa, deducevano ulteriormente, in sintesi, quanto segue.
6. Violazione dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000 sotto diversi profili, anche con riferimento all’art. 20 l. n. 121/1981. Travisamento dei fatti e contraddittorietà”.
Non risultava l’acquisizione del parere del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica nonostante nella relazione ministeriale si affermava che tale organo era stato “sentito”. A quanto risultava, il Prefetto aveva fondato la sua proposta non sul parere dell’organo collegiale ma su pareri individuali e risultava un verbale non del Comitato in questione ma di una informale e atipica “riunione tecnica” di coordinamento delle forze di polizia, cui non avevano partecipato alcuni membri previsti dall’art. 20 l. n. 121/81, tra cui il Sindaco del capoluogo di provincia, il Presidente della Provincia, il Comandante provinciale della guardia forestale; risultava poi presente il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello la cui presenza non risultava prevista dalla norma.
Il parere del Comitato, inoltre, doveva seguire l’acquisizione della relazione della Commissione d’indagine nominata dal Prefetto mentre, nel caso di specie, tale ultimo Organo aveva acquisito il parere (come detto, non collegiale) in data 17 luglio 2013, prima del termine dei lavori della Commissione in questione e non corrispondeva alla realtà quanto affermato dal Prefetto il 24 luglio 2013, secondo cui la Commissione avrebbe depositato la sua relazione il 16 luglio 2013.
Sul punto – pur ritenendola non necessaria – i ricorrenti chiedevano autorizzazione alla proposizione di querela di falso avverso la relazione prefettizia del 24 luglio 2013 per la parte in questione, adducendo a prova il verbale della riunione tecnica del 17 luglio 2013.
6) Violazione dell’art. 3 l. n. 241/1990”.
La proposta prefettizia di scioglimento, a seguito dell’ordinanza istruttoria del 16 gennaio 2014, era stata depositata con continui e ripetuti “omissis” che non consentivano di valutare l’”iter” logico seguito dal Prefetto per formulare la sua proposta.
7) Riproposizione, con integrazioni e precisazioni, dei motivi di ricorso n. 3 e n.4. Violazione dell’art. 143 D.lgs. n. 267/2000. Difetto del presupposto legittimante e in particolare della rilevanza delle circostanze addotte. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione, travisamento dei fatti”.
L’esame della relazione aveva confermato le doglianze di cui al terzo e quarto motivo di ricorso.
In particolare, la Commissione di indagine non aveva accertato la presenza nella zona di Sedriano di una struttura “locale” dell’organizzazione mafiosa e non si erano individuati episodi di intimidazione, escludendo così la definizione di cui all’art. 416 bis, comma 3, c.p.
Era stata configurata dalla Commissione una mera situazione di “potenziale rischio di infiltrazione mafiosa” e non di infiltrazione in atto, ai sensi dell’art. 143 TUEL, con esclusione quindi dei necessari elementi concreti, univoci e rilevanti previsti ai fini dello scioglimento dell’ente.
Risultavano, poi, solo precedenti penali risalenti ed estranei alla criminalità mafiosa a carico di dipendenti del Comune e di soggetti che avevano avuto rapporti con il Comune; non sussistevano illegittimità nella gestione degli appalti, rilevate tali solo per forzature di interpretazioni giuridiche; non poteva rilevare il ritenuto trattamento di favore per alcuni soggetti in relazione al pagamento di debiti pregressi dato che la prassi agevolatrice era in realtà applicata ad un ben più ampio numero di privati e la rateizzazione del debito era stata disposta dall’Ufficio Ragioneria nell’ambito della prassi stessa; il d.p.r. n. 602/1973 consente la rateazione fino a 72 rate (elevabili a 120 per congiuntura sfavorevole) mente nel caso di specie si era ritenuta “di favore” quella per 60 rate; non vi poteva essere stato effetto ostativo all’assegnazione preferenziale di appalti per esecuzione di misura cautelare nei confronti del Sindaco in quanto risultava trascorso quasi un anno tra la richiesta al GIP e l’ordinanza di custodia, atti ritenuti illegittimi erano da ascrivere alla precedente amministrazione comunale; la gestione – ritenuta illegittima dalla Commissione – di alcuni appalti era in realtà episodica e simile a quanto accade nell’intero territorio nazionale, fermo restando che le prestazioni risultavano eseguite e risultava rispettata la normativa “antimafia”.
Non vi era dunque “dissesto amministrativo” e precaria funzionalità dell’ente comunale a presupposto dello scioglimento, tenendo anche conto che gli appalti contestati, tranne in caso di urgenza, erano stati affidati “al massimo ribasso”, che i bilanci dell’ente stesso erano conformi al TUEL, con costanti avanzi, e non risultavano irregolarità di gestione o debiti fuori bilancio.
In prossimità della pubblica udienza, le parti costituite depositavano memorie a sostegno delle rispettive tesi difensive. In particolare la difesa erariale, pur confutando nel merito le tesi dei ricorrenti, chiedeva preliminarmente il rinvio dell’udienza per non essere stato osservato il termine di sessanta giorni di cui all’art. 71, comma 5, cpa tra la notificazione dei motivi aggiunti e l’udienza di merito..
In data 5 novembre 2014 la causa era trattenuta in decisione.
DIRITTO
Il Collegio, preliminarmente, ritiene di precisare di non avere accolto la domanda di rinvio dell’udienza di merito formulata nella sua memoria dalla difesa erariale, in quanto il presente procedimento soggiace al “dimezzamento” dei termini di cui all’art. 119, comma 1, lett. e), e comma 2, c.p.a., per cui i motivi aggiunti di parte ricorrente devono considerarsi tempestivi.
Passando all’esame del merito dell’impugnativa, il Collegio rileva che il gravame non può trovare accoglimento.
Per quel che riguarda le censure del ricorso introduttivo, il Collegio – in relazione al primo motivo - richiama la recente giurisprudenza (anche di questo Tribunale), da cui non si rinvengono ragioni per discostarsi, secondo la quale il provvedimento di scioglimento del Consiglio comunale per “condizionamento” e “infiltrazione” della criminalità organizzata, di cui all’art. 143 TUEL, non deve essere necessariamente preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, in considerazione delle esigenze di celerità del procedimento stesso e della difficile ipotizzabilità di un apporto sostanziale valido della collaborazione procedimentale così preclusa, considerata anche la formale riservatezza degli elementi documentali e prettamente indiziari su cui si basa necessariamente il peculiare procedimento in questione (TAR Lazio, Sez. I, 6.5.13, n. 4440; v. anche: Cons. Stato, Sez. VI, 28.10.09, n. 6657).
Né può valere in senso contrario l’osservazione dei ricorrenti in ordine ai non brevi tempi di definizione del procedimento, attesa la complessità dell’attività istruttoria in questi casi e le già richiamate esigenze di riservatezza, a tutela entrambe dell’interesse generale dell’intera collettività (Cons. Stato, Sez. III, 14.2.14, n. 727).
Per quel che riguarda il secondo motivo di ricorso, il Collegio nuovamente richiama la giurisprudenza sul punto, che ritiene di condividere, secondo la quale, ai sensi dell'art. 143 cit., è la proposta del Ministro dell'Interno di scioglimento di un Consiglio comunale che costituisce il ruolo centrale del nucleo espressivo della determinazione tecnica sottostante allo scioglimento stesso e tale proposta, pertanto, non è vincolata alle eventuali, difformi valutazioni risultanti dalla relazione prefettizia, atteso che è nella facoltà del Ministro orientare autonomamente il proprio convincimento in ordine alle conseguenze da trarre dagli elementi trasmessi con la detta relazione e coerentemente con essi (Cons. Stato, Sez. III, 12.1.13, n. 126 e TAR Lazio, Sez. I, 1.2.12, n. 1119).
Come già sostenuto da questa Sezione, infatti, con le affermazioni – condivise dal Collegio – che si riportano: “Recita il comma 4 dell'art. 143 del d. lgs. 267/2000 che ‘Lo scioglimento di cui al comma 1 è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri.’.La norma permette una sola interpretazione, ovvero che il decreto presidenziale deve essere adottato – come avvenuto nella fattispecie – su proposta del Ministro dell'interno, condivisa ed approvata dal Consiglio dei ministri. Non occorre spendere molte parole per motivare che la conclusione di cui sopra è obbligata, considerando la specificità del ruolo e delle funzioni che ognuna delle menzionate Autorità è chiamata a svolgere nel vigente ordinamento e nel procedimento in esame. Può solo aggiungersi che l'interpretazione propugnata dai ricorrenti (ovvero che la deliberazione del Consiglio dei ministri debba precedere la proposta del Ministero dell'interno) cozza anche con il comma 3 dell'art. 143 in parola, che, come è connaturale in relazione alle funzioni pubbliche di cui si discute, individua il Ministro dell'interno - e non il Consiglio dei ministri - quale autorità destinataria della relazione prefettizia ‘nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1’ per disporre lo scioglimento.”
Non si ravvede pertanto il vizio di illegittimità lamentato dai ricorrenti.
Per quel che riguarda il terzo e quarto motivo di ricorso, il Collegio rileva che gli stessi si raccordano necessariamente con la più vasta esposizione, susseguente alla visione dei documenti depositati in giudizio da parte dei ricorrenti, di cui ai motivi aggiunti, per cui, sul punto, si dà luogo ad una trattazione sostanzialmente congiunta.
Il Collegio – in ipotesi - condivide senz’altro le notazioni di ordine generale dei ricorrenti, secondo le quali il presupposto dello scioglimento del Consiglio comunale ex art. 143 TUEL non è più (alla luce della normativa vigente) rappresentato da un mero quadro indiziario fondato su "semplici elementi", in base ai quali sia solo plausibile il potenziale collegamento o l'influenza dei sodalizi criminali verso gli amministratori comunali, con condizionamento delle loro scelte e ricaduta sul buon andamento ed imparzialità dell'azione amministrativa, sul regolare funzionamento dei servizi e sulle stesse condizioni di sicurezza pubblica, dovendo detti elementi caratterizzarsi per: a)concretezza, essere cioè assistiti da un obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica; b) univocità, che sta a significare la loro direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire; c) rilevanza, che si caratterizza per l'idoneità all'effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell'ente locale (Cons. Stato, Sez. III, n. 126/13 cit.).
Il Collegio però – in tesi – rileva che tali profili di “concretezza”, “univocità” e “rilevanza”, nell’ambito del quadro di alta discrezionalità in materia riconoscibile all’Amministrazione preposta, sono tutti sussistenti nel caso di specie, contrariamente a quanto osservato dai ricorrenti in particolar modo nei motivi aggiunti.
Prima di iniziare l’esame di detti “elementi”, rinvenibili nella relazione prefettizia e nei lavori della Commissione di indagine all’uopo nominata depositati integralmente in giudizio, il Collegio ritiene di precisare i parametri, anch’essi individuati dalla giurisprudenza ormai definita sul punto, che devono orientare in sede giurisdizionale l’esame dal parte del giudice (di legittimità) adito in ordine ai presupposti di verifica del rispetto dell’art. 143 cit.
Ebbene, si evidenzia che in linea di principio, ai sensi del richiamato art. 143 TUEL, è legittimo lo scioglimento di un Consiglio comunale nel caso in cui sia l’andamento generale della vita amministrativa di un ente locale a subire influenze da un ipotizzato condizionamento “mafioso”, potendo l’indagine riguardare non solo scelte strettamente “di governo” in materia di programmazione e pianificazione ma anche specifiche attività di gestione, che si qualificano in realtà per essere di sostanziale interesse per le consorterie criminali, in relazione proprio alla maggiore e più repentina disponibilità ivi offerta di risorse pubbliche (TAR Lazio, Sez. I, 18.6.12, n. 5606).
Così pure, in tema di scioglimento ex art. 143 cit., gli ”elementi” addotti a riprova di collusioni, collegamenti e condizionamenti con (e da) la criminalità organizzata devono essere considerati non isolatamente ma nel loro insieme, dato che solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell’addebito di collusione con tale criminalità mosso al Consiglio comunale in un determinato contesto ed a prescindere da responsabilità dei singoli su specifici fatti (Cons. Stato, Sez. III, 6.3.12, n. 1266).
Inoltre, il potere di scioglimento in questione, con conseguente affidamento della gestione dell’ente a una Commissione straordinaria, ben può fondarsi anche su circostanze che non denotino il volontario concorso degli amministratori nei fatti in cui si concreta l’infiltrazione e il condizionamento “mafioso”, risultando sufficiente che a tale fenomeno i titolari degli organi dell’Ente non siano stati in grado di opporsi efficacemente in presenza di sintomatiche disfunzione dell’”agire” del Comune delle quali si siano giovati gli interessi della consorteria criminale organizzata e individuata (TAR Sicilia, Pa, Sez. I, 10.3.08, n. 321).
Da ultimo, si evidenzia altresì, come già sopra accennato, che il potere di scioglimento del Consiglio comunale ha una valenza, se non proprio “politica”, quanto meno di “alta amministrazione” e implica, quindi, un elevatissimo tasso di discrezionalità della p.a., sia nell’accertamento sia nella relativa valutazione dei fatti e elementi acquisiti al procedimento, che si sottrae a un sindacato di merito dal parte del giudice amministrativo, che non può che limitarsi alla verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell’esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole nei sensi sopra richiamati (Cons. Stato, Sez. VI, 21.12.10, n. 9323).
Premesso quanto sopra in senso generale, quindi, il Collegio può passare ad esaminare le risultanze istruttorie specifiche in relazione alle deduzioni dei ricorrenti.
In primo luogo, in relazione alla generica contestazione di cui ai motivi aggiunti, il Collegio non rileva alcuna lesione del diritto di difesa discendente dalla mole di documentazione presentata, inevitabile per la complessità delle indagini e della fase istruttoria, anche se priva di indice, non risultando imposti limiti di tempo ai legali dei ricorrenti per il relativo esame dopo che, con specifica ordinanza istruttoria in accoglimento della relativa istanza, era stato disposto il deposito in atti di documentazione integrale. La mancata estrazione di copia, poi, è conseguente alle esigenze e classificazione di riservatezza della documentazione in atti, fermo restando che delle medesime modalità di esame si è avvalso questo Collegio e che tale circostanza non ha impedito ai ricorrenti di provvedere alla redazione di dettagliati motivi aggiunti e ulteriore memoria di replica, fondati proprio sulla valutazione concreta degli elementi addotti.
Passando dunque all’esame delle risultanze istruttorie, nella relazione del Ministro dell’Interno è posto in evidenza che, in collegamento ad indagini penali sul Sindaco e all’adozione di misure cautelari nei suoi confronti il 26.9.2012, il Prefetto ordinava l’accesso presso il Comune con decreto del 3.4.2013. La commissione incaricata depositava le sue conclusioni e il Prefetto, sentito il Comitato provinciale per l’ordine pubblico, redigeva la relazione datata 24.7.2013 allegata alla proposta ministeriale e costituente parte integrante, anche quale motivazione “per relationem”.
Da tale relazione si evinceva in sintesi, quanto segue:
- Continuità con precedente amministrazione del 2004;
- Sindaco e altri membri dell’amministrazione frequentavano soggetti “controindicati” ;
- Intesa tra organo di vertice (sindaco) e alcuni amministratori pubblici con consorteria criminale: un consigliere comunale era in stretta parentela con un elemento di spicco della “ ‘ndrangheta” in favore del quale il sindaco prometteva interessamento su investimenti e appalti, anche attraverso l’intermediazione di un imprenditore locale;
- Generalizzata e illegittima ingerenza degli organi politici sull’operato di quelli burocratici soprattutto in settori economici: ditte da invitare per un appalto su verde pubblico indicate direttamente da un componente dell’organo esecutivo;
- Riorganizzazione uffici comunali nel 2009 e area tecnica divisa in due settori, di cui uno assegnato a soggetti senza preventiva procedura selettiva ovvero vicini ad ambienti controindicati;
- Agevolazioni non dovute e affidamenti di lavori pubblici in violazione della normativa di settore a due società;
- Reteazioni illegittime per due imprese e, su indicazione del Sindaco, anche restituzione;
- Affidamento di lavori di verde cittadino sia in economia sia in violazione di norme perché priva di documentazione antimafia e dei requisiti richiesti; carenza di motivazione del ricorso all’economia; assenza validazione progetto esecutivo; assenza polizza assicurazione verso terzi e ditte invitate senza criteri di trasparenza;
- Su lottizzazione omessa vigilanza perché una ditta aveva svolto lavori senza titolo legittimante;
- Lavori di messa in sicurezza di un manufatto comunale affidati a impresa i cui soci presentavano legami con criminalità;
- Generale contesto di illegalità e ricorso a perizie suppletive e varianti per gli altri appalti.
Nello specifico, la Commissione di indagine ha premesso che il procedimento prendeva avvio dalla valutazione della condotta del Sindaco quale sintomo di grave anomalia nella gestione dell’amministrazione comunale che, pur in attesa dell’esito del relativo procedimento penale, poteva essere meritevole di un approfondimento ai sensi dell’articolo 143 TUEL.
La stessa Commissione, poi, evidenziava che il Sindaco non mostrava serenità nei confronti delle attività di accesso agli uffici comunali della Commissione stessa.
Premesso ciò nella relazione si indicavano le modalità di acquisizione di tutta la documentazione e di audizione dei soggetti coinvolti.
Tra le “modalità di gestione” del personale risultava che l’amministrazione aveva fatto un massiccio e senza precedenti ricorso alle figure dei consulenti esterni, anche in settori chiave dell’attività dell’ente.
In relazione al contesto territoriale e alla presenza di criminalità organizzata, la Commissione evidenziava la sussistenza della peculiarità con cui si manifestava in Lombardia il fenomeno “mafioso”, contraddistinto dall’esigenza di “fare affari” in modalità definita “sottotraccia”, senza particolari compimenti di atti violenti o intimidatori in senso tradizionale ma privilegiando l’inserimento, in violazione delle normali regole concorrenziali, in determinati settori economici ed imprenditoriali di soggetti idonei anche a collocare risorse finanziarie per fini di riciclaggio.
Illustrando la suddivisione territoriale con cui la criminalità organizzata operava sul territorio lombardo, la Commissione, in riferimento al caso di specie, precisava che risultava operativa anche nel territorio del Comune diSedriano, oltre che in altri dell’area sud ovest dell’”hinterland” milanese, un’organizzazione criminale facente capo a famiglia originaria di Platì (RC), il cui ambito criminale riguardava anche il monopolio del “movimento terra”, il controllo dei cantieri, il settore dell’intermediazione immobiliare, con infiltrazioni negli appalti di servizi e opere pubbliche e ciò a testimonianza della presenza di malavita organizzata legata ad origini calabresi nel territorio comunale di riferimento.
Dalle numerose indagini condotte a partire quantomeno dal 2008 sul territorio, risultava la presenza di un soggetto che aveva assunto uno ruolo di rilievo nell’associazione criminale indagata, tale Eugenio C., avendo rivestito una partecipazione nell’attività di riscontrato “voto di scambio”per le elezioni regionali lombarde del 2010 in favore di un assessore regionale poi indagato.
Tale intermediario, Eugenio C., era riuscito anche ad ottenere l’elezione, nel giugno 2009, nel corso di tale patto definito dalla Commissione “politico-mafioso”, di sua figlia a consigliere del comune di Sedriano nonché l’assunzione della medesima presso l’ALER, con la promessa di agevolare esponenti delle cosche nell’assegnazione di appalti lavori pubblici gestiti dalla Regione.
Tale Eugenio C. risultava anche aver posto in essere ulteriori condotte illecite, con l’ausilio di un medico chirurgo marito di consigliera comunale di Sedriano, al fine di condizionare proprio le attività di tale amministrazione comunale, connesse a vicende urbanistiche e all’assegnazione di appalti di lavori e servizi pubblici, stringendo accordi con il primo cittadino per ottenere da quest’ultimo una serie di promesse anche inerenti l’assegnazione di ulteriori lavori pubblici che Eugenio C. intendeva “girare”ad altro membro del suo spesso sodalizio criminale, anche attraverso l’opera del ricordato marito di una consigliera comunale.
In sostanza risultava che il primo cittadino aveva promesso di compiere una pluralità di atti contrari ai suoi doveri d’ufficio in cambio del sostegno elettorale finanziario ricevuto in occasione delle consultazioni elettorali del 2009.
Tali atti risultavano, in sintesi: la presentazione e raccomandazione di Eugenio C. ai responsabili di un’impresa per fare loro ottenere una corsia preferenziale per l’approvazione della richiesta di apertura di un bar all’interno del costruendo centro commerciale di Sedriano; la promessa, a sostegno degli interessi del sodalizio criminale operante sul territorio, dell’assegnazione al medesimo Eugenio C. di un appalto della manutenzione delle aree verdi comunali, pur se l’assegnazione risultava definitivamente in favore di altro soggetto, comunque imparentato con altra famiglia “mafiosa”; la promessa al suddetto medico chirurgo di assegnazione di lavori di ristrutturazione di alcuni immobili.
Risultava, quindi, l’elevato e ingiustificato “peso specifico” di tale medico chirurgo, marito di assessore, sull’intera amministrazione comunale, tanto da arrivare a condizionare l’operato dell’assessore all’urbanistica che – come provato dall’attività tecnica condotta dalla procura inquirente – non solo lo informava di tutto lo stato di avanzamento del progetto ma gli si rivolgeva per dei pareri e consigli al fine di favorire specifici soggetti e non l’intera comunità sedrianese.
In sostanza risultava che il suddetto medico chirurgo e l’intermediario Eugenio C., quest’ultimo anche a favore della cosca di appartenenza, si adoperavano per ottenere corsie preferenziali comunali coadiuvati dal Sindaco che a sua volta, tramite l’aiuto dei medesimi e delle loro conoscenze della realtà criminale organizzata, aspirava anche ad ottenere un seggio al Parlamento nazionale, in modo che potesse succedergli alla poltrona di primo cittadino la figlia del suddetto intermediario.
La Commissione, poi, illustrava l’organigramma della struttura burocratica comunale, non facendo a meno di notare il ricorrente utilizzo dell’istituto della “mobilità” anche al fine di ristrutturare specifiche aree in senso favorevole alla pianificazione suddetta, come accaduto per la ristrutturazione dell’Area Tecnica, la cui Area Patrimonio era dapprima affidata in via diretta, senza procedura comparativa a soggetto rivelatosi poi in adeguato e, successivamente, ad altro soggetto in spregio delle enormi vigenti che regolavano i rapporti di lavoro alle dipendenze di più amministrazioni.
In riferimento alla figura del Segretario Comunale con funzioni di Direttore Generale, la Commissione ne rilevava la sua responsabilità per il silenzio serbato su alcune illegittimità da cui erano affetti provvedimenti emanati dall’amministrazione comunale, laddove risultava l’omessa richiesta, a lei imputabile, della documentazione necessaria al fine di accertare il possesso dei requisiti soggettivi di ordine morale e dei requisiti oggettivi prescritti dalle norme vigenti (DURC) in ordine ad alcuni appalti assegnati, limitandosi la sua attività all’apposizione del “visto”sotto un profilo meramente formale, risultando così evidente accondiscendenza ai voleri del Sindaco e della Giunta.
La Commissione, poi, poneva l’accento sulla figura del consulente legale del Comune, avvocato difensore del Sindaco in pregressi procedimenti penali a suo carico, che otteneva numerosi incarichi giudiziari e di consulenza extragiudiziale dal Comune medesimo, di notevole rilievo e per consistenti importi totali, già dal 2009, a fronte di risultati non proporzionati agli importi ricevuti.
Dirimente, ad opinione del Collegio, appare quanto evidenziato nella relazione della Commissione, laddove è specificato che lo stesso Sindaco aveva dichiarato che, avendo nominato come assessori giovani alla prima esperienza politica a amministrativa, aveva affiancato a ciascuno di questi soggetti esperti, in grado di comunicare bene ciò che si faceva e pubblicizzarlo al meglio.
In particolare, risultava che all’assessore ai servizi sociali era affiancata la su ricordata consigliere comunale moglie del medico chirurgo che esercitava notevole influenza sul Sindaco per quanto sopra evidenziato, all’assessore ai Lavori Pubblici risultava affiancato un geometra, all’epoca coordinatore del partito politico di appartenenza del Sindaco, all’assessore all’urbanistica ed edilizia privata era affiancato proprio il detto medico chirurgo.
Condivisibilmente, quindi, la Commissione osservava che non si comprendeva per quale ragione il Sindaco aveva proceduto alla nomina dei componenti della Giunta per poi avere l’intenzione di affiancare loro altri soggetti di supporto, salvo non ritenere una concezione personalistica e dirigistica della struttura comunale e di tutta l’amministrazione, finalizzata, più che al perseguimento degli interessi della collettività, al perseguimento di interessi personali e privatistici..
Risultavano poi tra le varie figure professionali ausiliarie del Comune diversi soggetti con precedenti penali.
Per quel che riguardava l’affidamento di appalti pubblici, la commissione riscontrava numerose irregolarità amministrative che descriveva dettagliatamente. Nella quasi totalità dei casi esaminati non erano fornite adeguate motivazioni a sostegno della scelta di preferire, quasi sempre, la procedura negoziata senza previa pubblicazione della gara rispetto alla ordinaria procedura di asta pubblica, fermo restando che risultava come l’adozione della determinazione a contrattare era effettuata dalla Giunta comunale stessa e non dal responsabile del procedimento e come era la stessa Giunta a selezionare le imprese da invitare in caso di licitazione privata.. Risultava poi un indebito ricorso al c.d “frazionamento” per i lavori di maggior importo. Per quelli relativi alla c.d. “Area Feste”, risultava l’aassegnazione per la maggior parte ad un’unica impresa e il responsabile del procedimento aveva riferito di aver ricevuto precise indicazioni dell’assessore ai lavori pubblici sulle ditte da invitare, individuate in un apposito elenco predisposto, come confermato in sede di audizione. Non risultava poi reperito presso il Comune alcun albo dei fornitori o delle ditte fiduciarie.
Risultava inoltre l’assegnazione, per i lavori di manutenzione e gestione del verde cittadino per un rilevante importo, a ditte individuali facenti capo ad una potente cosca egemone nel vicino Comune di Bareggio, pur essendo documentalmente riscontrabile a carico almeno di una di tali ditte l’accertata violazione di obblighi tributari e previdenziali e senza che fosse acquista nei confronti di tali operatori la documentazione “antimafia”, nonostante il Sindaco avesse dichiarato di conoscere la circostanza per la quale la figlia del titolare di una di tali ditte aveva sposato un membro di una famiglia di cui conosceva l’appartenenza al mondo criminale.
Per quel che riguardava l’”Area Feste” era poi riscontrato il costante ricorso alle varianti in corso d’opera e la mancata acquisizione della polizza di assicurazione per danni e responsabilità civile verso terzi, ai sensi della normativa vigente, esponendo così il Comune stesso alla responsabilità solidale per i danni causati dall’appaltatore.
Risultavano poi nei confronti di tali ditte dilazioni di pagamento per alcuni tributi comunali, omessa attivazione di alcune procedure coattive e la restituzione, senza giustificazione formale ma su mera disposizione verbale del Sindaco, di decine di migliaia di euro di imposte già correttamente incassate, pur nell’ambito di una pregressa situazione debitoria della ditta interessata verso l’amministrazione comunale di Sedriano.
Omissioni di verifiche documentali erano poi riscontrate per alcuni subappalti di cui alla richiamata “Area Feste” e pure era riscontrata la tenuta superficiale dei registri di lavori relativi ai contratti per tale opera pubblica.
La Commissione, poi, poneva l’accento sugli appalti coinvolgenti due ditte individuali intestate a coniugi legati a organizzazioni malavitose di stampo “mafioso”e aventi sede nel Comune, frutto di accordi per consentirne l’affidamento diretto. Tali ditte, prima del 2009, avevano solo sporadicamente dato luogo a piccole forniture nei confronti del comune ma a partire da tale anno risultavano aggiudicatarie di appalti e contratti di maggior valore nonostante una posizione debitoria pregressa nei confronti del comune stesso.
La Commissione quindi indicava dettagliatamente le irregolarità che contraddistinguevano i singoli contratti affidati a tali ditte individuali, facenti capo ai richiamati coniugi, di cui almeno una priva dei requisiti morali di ordine generale che, se semplicemente richiesti, avrebbero proprio impedito la contrattazione con imprenditori aventi legame con famiglia “criminale”, per quanto noto allo stesso Sindaco.
Risultavano illustrate anche evidenze documentali dalle quali emergeva che l’amministrazione comunale aveva tenuto nei confronti di tale ditta un atteggiamento assolutamente preferenziale nelle modalità di gestione della ingente posizione debitoria per la ripetuta omissione del pagamento di vari tributi, oneri e corrispettivi per le prestazioni di servizi, che però non impediva la concessione di comoda rateizzazione a 60 rate senza idonea motivazione e fin’anche la restituzione di alcune somme, come sopra già anticipato, con procedura anomala e mai eseguita in precedenza, nonché il mancato avvio di riscossione coattiva a discrezione dello stesso Sindaco.
Per altri appalti per realizzazione di impianti sportivi risultavano pure l’immotivato ricorso alla procedura negoziata in luogo di quella “aperta” , l’invito a ditte con sedi molto distanti, in modo da consentire la partecipazione effettiva a sole quattro ditte su dieci e l’aggiudicazione sempre alla stessa, mediante illegittimo frazionamento.
Per l’affidamento dei lavori per l’”Area Feste” risultavano tre ingiustificate procedure negoziate, affidate a due ditte per le quali non era effettuata la verifica ex art. 38 “Codice Contratti” né era chiesta la polizza assicurativa per danni. Una di queste ditte risultava aver ricevuto dai coniugi suddetti (medico chirurgo “influente” in Comune e consigliere comunale) un incarico per realizzare opere di cemento armato su terreno di loro proprietà nel Comune di Sedriano. Il rappresentante legale di tale ditta aveva costituito, insieme ad altri, tra cui i suddetti coniugi e l’assessore ai lavori pubblici (come si ricorda, “affiancata” da un geometra, coordinatore locale del partito del Sindaco e già dipendente della suddetta ditta affidataria dei lavori) una società cooperativa sociale, il cui revisore dei conti era il padre di altro consigliere comunale.
Analoghe osservazioni erano fatte dalla Commissione sulla ristrutturazione dell’asilo comunale e della scuola “L. Fagnani”, ove risultavano approvazione di varianti che davano luogo a sostanziale frazionamento del contratto e con subappalti senza verifiche ex art. 38 Codice Contratti.
In seguito al crollo della “Cascina Tiraboschi” risultavano direttamente assegnati i lavori di messa in sicurezza a ditta che aveva eseguito, quale subappaltatrice, lavori per società “vicina” agli ambienti della criminalità organizzata calabrese e la cui socia risultava legata sentimentalmente con relazione extraconiugale a pregiudicato appartenente ad associazione a delinquere di tale stampo. Lo stesso rappresentante legale di tale ditta risultava socio di maggioranza in altra società unitamente ad esponente di una “cosca” calabrese specificamente individuata.
Tale ditta, inoltre, riceveva dal Comune di Sedriano per il periodo in valutazione numerosi incarichi nonostante accertata irregolarità contributiva.
Per qual che riguardava la gestione del territorio, la Commissione rilevava numerose irregolarità e l’assegnazione di lavori pubblici su aree verdi in favore di impresa specifica già considerata vicina a cosca territoriale e la gestione quasi esclusiva della ristrutturazione della Villa Colombo-Brazzola e delle Cascina Tiraboschi nell’interesse di parti private aventi rapporti con il ricordato intermediario Eugenio C. e una cosca locale.
Risultava da elementi probatori specificati che il ricordato medico chirurgo, quale “tutor” dell’assessore all’urbanistica – da cui dipendeva tra l’altro la conduzione del P.I.I., e punto di unione tra il Sindaco e il richiamato intermediario Eugenio C. - esercitava un controllo continuo sulla gestione.
In definitiva, nelle sue conclusioni, la Commissione di indagine riportava le osservazioni del Tribunale penale da cui si ricavava come il Sindaco si rendeva disponibile a violare ripetutamente i doveri del proprio ufficio al fine di assicurare un concreto vantaggio per l’organizzazione criminale di cui faceva parte Eugenio C., il quale, attraverso il richiamato medico chirurgo, marito di consigliere comunale e soggetto di collegamento con esponenti della criminalità organizzata di stampo “mafioso”, aveva stretto un vero e proprio accordo politico-economico di reciproco interesse, orientato a consolidare la posizione politica del Sindaco, anche in vista dell’acquisizione di voti per l’elezione al Parlamento nazionale, e a favorire nel settore economico degli appalti il relativo controllo da parte dei suddetti “intermediari”, soprattutto con l’assegnazione diretta ad alcune imprese vicine alla cosche operanti sul territorio di vari lavori (manutenzione verde, ampliamento e aggiornamento della piattaforma ecologica comunale, ristrutturazione del complesso immobiliare Villa Colombo-Brazzola e Cascina Tiraboschi).
L’intermediario Eugenio C. riusciva anche ad ottenere un posto di consigliere comunale per la figlia.
Tutto ciò accadeva nella consapevolezza del primo cittadino in ordine alla caratura criminale di Eugenio C., laddove risultava il contatto diretto per organizzare una sorta di “servizio d’ordine” in occasione della presenza in Comune di un noto assessore regionale, senza ricorrere all’ausilio delle Forze dell’Ordine o alla Polizia Locale, richiesta soddisfatta da Eugenio C. mediante contatto con un uomo di spicco di una specifica cosca operante sul territorio. Inoltre lo stesso Sindaco, in sede penale, affermava di non aver mai sporto denuncia contro tale soggetto, anche in relazione ad un tentativo di corruzione specifico richiamato, “per paura”, anche se poi ridimensionava tale indicazione davanti al Sostituto Procuratore della Repubblica.
Coerentemente e non illogicamente, quindi, la Commissione concludeva nel senso che il Sindaco non era all’oscuro del collegamento con la criminalità organizzata di tale soggetto perché altrimenti non si comprende per quale ragione non aveva sporto subito denuncia quale pubblico ufficiale.
La mera esistenza di una promessa illecita concretava la valutazione di una condotta penalmente rilevante e – sotto il profilo di interesse in questa sede – che poteva riflettersi anche sotto la fattispecie di cui all’art. 143 TUEL per potenziale rischio di infiltrazione mafiosa, in virtù di un accordo pattizio valido nel tempo.
La Commissione poi evidenziava anche la figura di un imprenditore, collegato alla storica famiglia “ndranghetista” dei Musitano, che si incrocia con i richiamati Eugenio C. e medico chirurgo a seguito della mancata assegnazione di lavori di manutenzione del verde pubblico a terzi, avvenuta invece in favore delle ditte della moglie di tale imprenditore e dell’imprenditore stesso nella piena consapevolezza del Sindaco dei rapporti tra detto imprenditore e i Musitano e dell’appartenenza di tale famiglia alla criminalità organizzata calabrese. Tale assegnazione “di favore” era contraddistinta da numerose irregolarità amministrative elencate dettagliatamente dalla Commissione ed era pure riscontrata la posizione “di favore” in ordine alla situazione debitoria tributaria di tali ditte, cui erano riconosciuti indubbi vantaggi economici a discrezione del Sindaco e dell’amministrazione comunale, senza specifica motivazione e in maniera differenziata rispetto ad altri soggetti nelle medesime condizioni.
Quindi, se per il mediatore Eugenio C. l’infiltrazione era “potenziale”, per i coniugi imprenditori ora evidenziati era evidente ed esistente.
Tale infiltrazione, potenziale e concreta (quindi ulteriormente potenziale) aveva dato luogo ad una gestione personalistica ed accentratrice del Comune da parte del Sindaco, ad una grave carenza nel rispetto di quasi tutte le procedure di legge, soprattutto in materia di appalti e urbanistica, alla scelta da parte del Sindaco stesso di dirigenti spesso non idonei al loro compito (perché inadatti o assorbiti da altri incarichi remunerativi), e – per quel che pare al Collegio dirimente – all’affiancamento agli assessori di Giunta di precisi “tutors” (tra cui lo stesso medico chirurgo marito di assessore comunale) sempre da lui “scelti”.
Né poteva essere scaricata dal Sindaco la responsabilità della cattiva gestione (in favore però degli stessi soggetti) sugli uffici comunali e sui loro dirigenti, in quanto questi, nei settori nevralgici presi in considerazione, si erano rilevati meri esecutori della volontà sindacale (ivi compreso il Segretario Comunale), come confermato anche dalla ristrutturazione dell’Area Tecnica, prima gestita da un unico responsabile in organico e poi smembrata in due Aree, affidate, una, a figura professionale (inidonea) scelta direttamente dal Sindaco e l’altra a soggetto già con altri incarichi, ritenuti anche “contra legem”.Tale configurazione “di favore” aveva dato luogo a moltissimi affidamenti diretti di appalti, come sopra riassunto, in favore di ditte correlate ad organizzazione malavitosa di stampo “mafioso”, come osservato in ordinanza cautelare del Tribunale di Milano di cui erano riportati brani significativi.
Tali conclusioni erano sintetizzate, nei punti salienti, nella relazione prefettizia del 24.7 13 e riprese nella proposta del Ministro dell’Interno, che più diffusamente illustrava i punti critici di tale gestione comunale, idonei come tali all’applicazione dell’art. 143 TUEL.
Concludendo sul punto, quindi, il Collegio, premettendo che il sindacato giurisdizionale sul corretto esercizio del potere di scioglimento per infiltrazioni delinquenziali non può spingersi al di là della verifica della ricorrenza di un idoneo e sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale logica, coerente e ragionevole (TAR Lazio, Sez. I, 3.6.14, n. 5856), ritiene che l’approfondita attività istruttoria di cui alla relazione della Commissione di indagine, nonchè il nucleo motivazionale della relazione prefettizia e della proposta ministeriale, non siano contraddistinte da palese illogicità o arbitrarietà ma siano fondate su circostanze specifiche, considerate nel loro articolato complesso, e idonee a qualificare la presenza degli elementi concreti, univoci e rilevanti richiesti dalla norma.
Gli elementi sono concreti, in quanti fondati su esame documentale, evidenze probatorie acquisite nelle indagini penali e audizione dei diretti interessati, univoci, perché evidenziano che la direzione verso cui si muoveva l’organizzazione comunale (anche con le sue omissioni, parzialità e illegittimità diffuse) era stabile a beneficio, sia pure indiretto ma incontestabile, di esponenti della malavita stanziale di origine “mafiosa”, rilevanti, dato che riguardavano la gestione dell’intreccio economico-finanziario che – come detto in precedenza – è particolarmente ambito dalla criminalità organizzata, anche ai fini di riciclaggio.
La proposta ministeriale dava adeguatamente conto di fatti storicamente verificatisi e accertati, che sono stati correttamente e non irragionevolmente ritenuti manifestazione di situazioni di condizionamento e di ingerenza nella gestione dell'ente comunale.
Il quadro indiziario complessivamente emerso dagli accertamenti istruttori, e valutato come significativo di una gestione amministrativa poco lineare, rendeva quindi ragionevolmente plausibile la conclusione per la quale l'attività dell'ente era, sia concretamente che potenzialmente anche per il futuro, non impermeabile a possibili ingerenze e pressioni da parte della criminalità organizzata specificamente individuata e operante sul territorio dell’”hinterland” milanese.
Dai provvedimenti amministrativi suddetti emerge, chiaro, il legame “causale” intercorrente tra i presupposti in concreto riscontrati e la deviazione dell'azione dell'ente dal perseguimento dei propri fini istituzionali, legame che costituisce il punto nodale della motivazione del provvedimento di scioglimento e, come tale, adeguata e in linea con i requisiti richiesti dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 103/1993.
Né può convenirsi in senso contrario con le articolate difese dei ricorrenti, soprattutto nei motivi aggiunti e nella memoria di replica per l’udienza pubblica, in quanto esse esaminano isolatamente i singoli episodi che, però, per quanto detto, devono invece essere considerati nel loro insieme e sullo sfondo di un quadro indiziario concreto, univoco e rilavante che nel caso di specie si è dimostrato sussistente per la minuziosa descrizione di cui alla relazione della Commissione di indagine.
Nell’ipotesi dello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose l’amministrazione gode, quindi, di ampia discrezionalità, considerato che non si richiede né la prova della commissione di reati da parte degli amministratori, né che i collegamenti tra l’amministrazione e le organizzazioni criminali risultino da prove inconfutabili, dimostrandosi sufficienti elementi univoci e coerenti volti a far ritenere, così come in questo caso, un collegamento tra l’amministrazione e i gruppi criminali (TAR Lazio, Sez. I, n. 5856/14 cit.).
Nel caso di specie, il materiale raccolto nel corso dell’istruttoria si è presentato di particolare ampiezza, tale da poter dar luogo a univoche interpretazioni.
Per quel che riguarda il quarto e quinto motivo di ricorso, il Collegio non può che richiamare un ragionamento consequenziale a quanto in precedenza illustrato.
Non risulta assente la prova di ingerenza del potere politico sull’attività dirigenziale, dato che da numerose risultanze probatorie penali richiamate nella relazione emerge che, principalmente il Sindaco, ma anche altre assessori di Giunta, tramite i loro “tutors”, imponevano comportamenti ai dirigenti (si richiama il “favor” accordato ai fini di dilazione di debiti tributari a specifica ditta).
Dirimente, come detto, è poi proprio la circostanza della presenza di tali “tutors” accanto ad assessori di rilevanti Uffici, del tutto ingiustificata e ingiustificabile, se non nell’ottica di un’imposizione di specifiche attività in merito all’andamento di settori strategici nella gestione dell’amministrazione comunale.
Inoltre, le parentele, le frequentazioni, i rapporti di coniugio e gli accordi elettorali richiamati sono stati valutati nel quadro complessivo degli interessi economico-finanziari sopra ricordati e non isolatamente e in quanto tali, come lamentato dai ricorrenti nel quarto motivo di ricorso.
Non sono state, inoltre, le illegittimità come tali ad essere state poste a fondamento dello scioglimento ma le illegittimità specifiche inserite in quell’ampio quadro indiziario, completo ed esaustivo, illustrato minuziosamente dalla Commissione di indagine.
Né può dirsi che, soprattutto riguardo al “trattamento” fiscale di favore, possa rilevare la circostanza che anche altri soggetti abbiano goduto di tali facilitazioni, perché, come detto, tale profilo è stato correttamente valutato nel quadro d’insieme che vedeva le medesime ditte favorite anche nell’assegnazione di appalti, con la consapevolezza da parte del Sindaco del loro collegamento a criminalità organizzata specifica.
Di conseguenza, è infondato il quinto motivo di ricorso, dato che non risultano individuate responsabilità esclusive degli Uffici comunali ma una ben direzionata volontà dell’organo politico di vertice di influenzare gli stessi e una rilevata omissione da parte degli altri organi politici di attività tesa ad evitare tale evidente ingerenza (tra cui nuovamente segnalare la presenza dei ricordati “tutors” degli assessori “giovani” e “inesperti”).
Passando infine all’esame dei residui motivi aggiunti, fondati su doglianze essenzialmente di ordine procedurale, il Collegio rileva, per quanto riguarda le modalità di costituzione e di espressione delle sue conclusioni del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, che la norma di riferimento (art. 143, comma 3, TUEL) non prevede l’espressione di un parere formale, conseguenza di volontà (maggioritaria o meno) di un collegio perfetto ma si limita a prevedere che detto Comitato debba essere “sentito”.
Nel caso di specie ciò è accaduto in quanto, dalla documentazione in atti, risulta che il Comitato si è riunito il 17.7.2013 sotto la presidenza del Prefetto di Milano ed ha concluso sul punto, in base ai favorevoli pareri espressi dai presenti (quindi di unanime determinazione), al fine dell’inoltro della redigenda relazione prefettizia al Ministro dell’Interno ai fini di cui all’art. 143 cit.
Per quel che riguarda la ritenuta illegittimità di composizione del Comitato, ai sensi dell’art. 20 l. n. 121/1981, il Collegio ha già anticipato che in argomento esso non costituisce un collegio perfetto che esprime valutazioni vincolanti in senso maggioritario. Per quel che riguarda la mancata partecipazione del Sindaco di Sedriano, appare logico, per la delicatezza della vicenda, che non sia stata consentita la sua presenza per ovvie ragioni di opportunità, relativamente a fatti che lo riguardavano personalmente.
Così pure condivisibili sono le osservazioni della difesa erariale sulla mancata partecipazione del Sindaco del capoluogo, dato che il relativo punto all’ordine del giorno riguardava anche la conoscenza di atti riservati, ex art. 42 l. 124/2007, accessibili ai solo soggetti che ne abbiano necessità per le proprie funzioni istituzionali, con conseguente legittimità della composizione “ristretta” del Comitato in questione.
In relazione alla partecipazione del procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano, si rileva che l’art. 20, comma 4, l. 121/81 prevede che “Il prefetto può invitare alle stesse riunioni componenti dell'ordine giudiziario, d'intesa con il procuratore della Repubblica competente.”
Nel caso di specie, in assenza di osservazioni sul punto da parte del procuratore della Repubblica presente, la presenza del Procuratore Generale in questione non appare illegittima nel senso prospettato dai ricorrenti, rilevandosi l’intesa implicita del procuratore della Repubblica.
Per quel che riguarda le date della relazione della Commissione di indagine e della riunione del Comitato suddetto, il Collegio osserva che la data di sottoscrizione della prima – secondo quanto documentalmente allegato in giudizio – è quella del 16.7.2013, corrispondente a quanto sostenuto dal Prefetto nella sua relazione del 24.7.2013. La circostanza che nella riunione del 17.7.2013 del Comitato suddetto il Prefetto abbia affermato che la Commissione stava “concludendo il proprio lavoro”, ad avviso del Collegio, non rileva sulla successione dei tempi - attestata da elemento documentale oggettivo consistente nella sottoscrizione della relazione dei componenti della Commissione nel medesimo foglio con la data del 16 luglio 2013 - e può essere ascritta a mera imprecisione per la vicinanza delle date.
Sulla querela di falso prospettata, il Collegio osserva che gli stessi ricorrenti ritengono non necessaria un’autorizzazione in questa sede.
Per quel che riguarda il sesto motivo aggiunto, il Collegio non può che ribadire quanto dedotto all’inizio dell’esposizione, in quanto la classificazione “riservata” della documentazione imponeva in origini gli “omissis”, poi non più presenti negli allegati integrali depositati in modalità informatica in giudizio, cui hanno avuto accesso i ricorrenti ai fini della proposizione degli stessi motivi aggiunti.
Alla luce di quanto dedotto, quindi, il ricorso ed i motivi aggiunti devono essere rigettati.
Le spese di lite possono eccezionalmente compensarsi, proprio per la peculiarità della fattispecie e per la impossibilità per i ricorrenti di accedere, in prima battuta, alla documentazione riservata, depositata in forma integrale solo in corso di giudizio.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in epigrafe proposti, li rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 5 novembre 2014 con l'intervento dei magistrati:
Luigi Tosti, Presidente
Anna Bottiglieri, Consigliere
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
L'ESTENSOREIL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 08/01/2015
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

PS: Fonte TAR del Lazio (Clicca per vedere la sentenza) 

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